“Working capital” di Telecom Italia

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Working Capital 2013 di Telecom Italia, un’intervista a Fabio Lalli

 

Working Capital è il programma di Telecom Italia per promuovere le startup italiane. La sua edizione 2013 è piuttosto entusiasmante per chi lavora sodo per promuovere l’innovazione tecnologica. Abbiamo intervistato Fabio Lalli, una figura cardine del progetto.

Fabio, per prima cosa parlaci un po’ di chi sei e di che ruolo rivesti all’interno del progetto Telecom Italia Working Capital!

Sono un imprenditore con circa 13 anni di esperienza nell’ICT. Oggi sono CEO di IQUII, una mobile e social company italiana nata da poco meno di un anno, fondata con mio fratello Mirko. Ho fondato il network Indigeni Digitali circa 3 anni fa e oggi sono il Presidente dell’Associazione. All’interno del progetto WCAP come IQUII ci occupiamo di tre differenti cantieri di lavoro che vanno dalla gestione della comunicazione online social e web, lo sviluppo del repository (piattaforma per le startup e gli investitori) e gestione dell’acceleratore di Roma. Io in particolare sarò anche Mentor dell’acceleratore e coordino le attività di community.

Startup e acceleratori in Italia: una scommessa per l’innovazione. L’Italia non è Silicon Valley, ma secondo te siamo in grado di dare terreno fertile ai giovani imprenditori e di “tenerceli stretti”, invogliandoli a restare in Italia?

L’Italia non è la Silicon Valley certamente e sarebbe sbagliato voler riprodurre lo stesso modello: ogni nazione ha framework legislativi, culturali e un tessuto sociale differente che non può esser replicato a scatola chiusa. Ci sono però due cose da dire: la prima è che sono assolutamente dell’idea che in Italia si possa fare innovazione e si possano creare realtà in grado di competere a livello internazionale, abbiamo talento e competenze riconosciute che semplicemente spesso si sottovalutano, si sminuiscono o non si riescono a far emergere. Dall’altra sono dell’idea che il concetto di invogliare a rimanere in Italia sia sbagliato per principio: io penso che un imprenditore debba portare il proprio business nel posto dove quel business può crescere. Scegliere in funzione della bandiera di appartenenza a mio avviso è sbagliato per un imprenditore perchè vuol dire non ragionare, appunto, da imprenditore. Però quello che possiamo fare qui da noi per far sì che l’Italia non sia un ripiego, ma una opportunità, è sviluppare un modello e un sistema (composto da più attori) che supporti l’imprenditoria, la formazione e l’attrattività di altre competenze verso l’Italia. Gli acceleratori sono sicuramente un pezzo di questo puzzle che va composto.

Working Capital, spiegami chi è il vostro “soggetto tipo”, che startupper andate cercando e come lo aiuterete a lavorare ai suoi progetti.

Non c’è un soggetto tipo: ogni ragazzo che frequenta il nostro acceleratore ha caratteristiche personali e doti che sono diverse dagli altri. Sicuramente quello che di base vorremmo trovare è passione per il proprio progetto, voglia di scommettere su se stesso e sulla propria idea e tanta energia da spaccare il mondo. Noi supportiamo le startup, durante l’accelerazione, con un intenso programma di attività. Ci sono i programmi di formazione molto specifici e approfonditi con docenti, professionisti e imprenditori che hanno molto da raccontare e tanta esperienza da trasferire alle singole startup. C’è un supporto continuo di mentor e co-mentor, ma soprattutto, nel nostro modello, che io sto cercando di stimolare anche con ID da anni, vogliamo generare una contaminazione continua con community e network.

Mi ha fatto molto piacere scoprire che lavorate a stretto contatto con il territorio e le sue risorse. Mi parleresti un po’ del rapporto che Working Capital crea tra le startup e il “locale”?

Il rapporto con il territorio è fondamentale e serve anche a valorizzare le competenze, il contesto e a legare un ponte tra università, giovani e imprenditoria: avere dei punti di riferimento in cui trovarsi, incontrarsi e fare networking è il primo tassello per creare quella che mi piace chiamare “contaminazione innovativa”. Far trasferire giovani in città diverse fin dal primo momento dell’idea è, a mio avviso, un problema e ha un impatto anche sulla possibilità di sviluppare il progetto: se c’è la possibilità di iniziare localmente, utilizzando al 100% il territorio e la propria rete di conoscenze, permette ai futuri imprenditori di testare la propria idea, crescere e poi lanciarsi.

Avete scelto tre città come fulcro dell’iniziativa 2013: Milano, Roma e Catania. Le avete individuate come polo dell’innovazione tecnologica italiana?

Sono tre città importanti in Italia. Sono un asse perfetto per iniziare a coprire il territorio italiano. Scherzando dico sempre che abbiamo praticamente attivato la spina dorsale dell’innovazione Italiana.

Ho sentito che avete progettato di espandervi ad altre due città. Qualche anticipazione in merito?

Ancora non possiamo dare anticipazioni su questo tema, ma sicuramente l’idea è quella di coprire il territorio in modo più capillare e in questo modo possiamo creare una rete di supporto, aggregazione e valorizzazione dei progetti in ogni angolo dell’Italia.

Secondo te oggi c’è forse troppo desiderio di “vendersi”? Il mondo degli acceleratori e dei “pitch” ai finanziatori di alto profilo consente anche l’esistenza di uno sviluppo graduale e metodico di un piano aziendale con “i piedi per terra”, forse un po’ meno eccitante ma comunque più realistico, oppure è tutto volto alla ricerca della leggendaria “The next big thing”?

Io non credo sia semplice trovare la prossima leggendaria “next big thing”, anzi non ci ho mai creduto. Credo molto nella sperimentazione continua, fatta di errori e miglioramenti, crescita graduale con una forte ambizione alla perfezione.