Da start-up a vera azienda:
come fare il salto di livello
Giorgio De Michelis: serve un’ecologia dell’innovazione
Fare impresa nel settore digitale in Italia è possibile. Lo dimostrano casi di successo come Yoox, Fubles, Banzai, Easyfilm, Geomercato, tanto per fare solo alcuni esempi. Tutte start-up che grazie a una rete di professionisti e a un insieme di capitali sono riuscite a trasformarsi in aziende vere e proprie. Cioè a compiere l’«exit», come si dice in gergo, quel salto di livello che trasforma l’impresa innovativa in un’azienda solida e avviata. «Ma perché questo succeda più spesso serve un’ecologia dell’innovazione, vale a dire un luogo in cui gli attori del sistema possano incontrarsi e collaborare», spiega Giorgio De Michelis, professore di Informatica teorica e Sistemi informativi all’Università Bicocca.FARE ECOSISTEMA – Gli attori da mettere in rete sono cinque: gli innovatori (coloro che hanno le idee), gli investitori, le imprese che chiedono innovazione, i ricercatori accademici e le istituzioni pubbliche. «Le competenze e le risorse di ciascuno di questi attori, se messe insieme, farebbero dell’Italia un buon incubatore di innovazione – continua il professor De Michelis – Per esempio, si potrebbe usare molto di più il sistema dell’open innovation, cioè la richiesta di aiuto da parte delle aziende che hanno bisogno di idee attraverso bandi pubblici. Ci sarebbero mille opportunità del genere da sviluppare, ma per farlo serve un ecosistema».
INFORMAZIONE E INVESTIMENTI - Non solo: servono anche consapevolezza e informazione. Secondo Andrea Di Camillo, advisor del fondo di venture capital Principia Sgr (che in Italia ha avviato le start-up di successo citate sopra), spesso chi ha le idee non sa come fare a realizzarle. «In Italia non si raccontano molto i casi di successo, le storie di imprenditori da emulare, perciò i potenziali innovatori restano isolati. Poi c’è un altro problema: se da un lato abbondano i piccoli investimenti, quelli dei «business angel» e degli «acceleratori», dall’altro mancano i grandi investimenti, quelli che rendono possibile la fase di «exit» delle start-up trasformandole in aziende solide. Le mancanze, qui, non sono solo del sistema del credito – fondi e banche – ma anche del sistema industriale: le grandi imprese già avviate guardano poco alle start-up per trarre spunti di innovazione».
COSA NON FARE - Oltre alle lacune del sistema, c’è anche un atteggiamento psicologico da evitare in Italia: «Non si deve sempre cercare di imitare il funzionamento di altri sistemi, come la Silicon Valley. I veri insegnamenti non si traggono dalle pratiche virtuose altrui, ma dagli errori propri – ammonisce Luca Gioni, ceo di Plannify, il sito web che permette di scoprire tutti gli eventi attorno a sé – Per esempio, gli innovatori italiani non devono pensare di fare tutto da soli, perché oggi serve un mix di competenze per restare sul mercato. Non devono nemmeno proteggere la loro idea come se fosse a rischio furto: meglio essere veloci a entrare nel business piuttosto che investire energie per tutelare qualcosa che non è ancora nato. E scordatevi di dedicare alla vostra start-up solo i ritagli di tempo: fare impresa è un impegno decisamente full time».
Alessandra Dal Monte3 giugno 2013 | 17:21© RIPRODUZIONE RISERVATA